lunedì 11 agosto 2014

le cose belle e le altre cose

Sarà che in estate da qualche anno vado in un posto che non è casa mia
nel quale non trovo ricordi o tracce di vita passata.
Sarà che forse non esiste più un posto così per me
Ho una casa che mi contiene in una città che mi ha accettato così come sono e che io mi faccio bastare ma nel frattempo mi adopero affinché molte delle sue innumerevoli facce cambino, nella quale ho trovato un posto, nella quale ho fatto nascere i miei figli e provo a destinare loro delle giornate piene e avventurose tra i pericoli e le inefficienze e le bellezze da scoprire.

Una città che in questi anni, la vivo da circa 20 di questi, si è come stratificata.
Gli stessi posti li frequento e li osservo adesso che li attraverso con i bambini e li penso quando erano i miei posti dello studio, delle scoperte, delle notti a piedi o in bicicletta.
A questi pensieri si sono legati in queste ultime settimane un film e un libro.
Senza che facessi nulla, cose che si riconoscono, che devo solo intrecciare con le mie parole, niente di più.

In una bella sera estiva, in uno spazio semi dimenticato e ricco di fascino della città dove vivo, Palermo, è iniziata giorno 23 luglio una rassegna di film e documentari, terminata proprio la scorsa settimana.
La prima sera, il 23 luglio, ad aspettarci un documentario italiano, Le cose belle (http://www.lecosebelle.eu)

4 storie, di ragazzi e ragazze napoletani, che vanno avanti e indietro nella vita
conosciuti dai due registi all'età di circa 10-13 anni nel 1999 (Agostino Ferrente  e Giovanni Piperno realizzano per Rai Tre il documentario Intervista a mia madre, con quattro adolescenti, Fabio, Enzo, Adele e Silvana, e una domanda: che ne sarà di noi?).
Gli stessi vengono ritrovati da grandi dieci anni dopo, le speranze e i desideri dell'età piccola si sono intanto trasformati, come la città che li accoglie e gli conferisce un'impronta forte, riconoscibile, forse anche pesante da sostenere come eredità di parole e comportamenti.
Ma ci sono sogni nei loro occhi, ci sono volontà e scelte da affrontare, rapporti con le famiglie alle quali in qualche modo restano vicini nella vita, fratelli e sorelle , una comunità, un quartiere, le strade nelle quali con disinvoltura ti muovi, sbagli, cerchi e cresci.
Storie e memoria sullo sfondo di una città che mescola tutto, che trascina i più deboli, nella quale restare se stessi è la sfida più grande.
Mi è piaciuta la schiettezza del racconto, senza un pensiero che non fosse quello dei protagonisti e delle storie capaci di dipanare un ragionamento più ampio che dalle scelte di vita di ognuno arriva al lavoro, alla famiglia ai figli, alla morte alla solitudine per accettare infine le cose belle, belle perché piccole e raggiungibili? forse no
belle perché grandi
Si augurano cose grandi, si aspira alla parte migliore di noi e della vita
anche se qualcosa ci riporta indietro, e in avanti si guarda a fatica
Mi piacciono le due donne del film, Silvana e Adele, quelle che da ragazzine volevano fare le modelle.
Poi, in qualche modo prendono in mano vita e famiglia, riconnettono rapporti dimenticati (commovente la scena di Silvana con sua mamma riprese mentre parlano dentro il reparto dell'ospedale) provano a trasformare un sogno come quello di ballare di Adele, solo che diventa un lavoro da fare di notte in un night club.
Però la passione è forte come la canzone che ci sta tutta nel film, che sia solo la passione che tiene in vita deboli speranze, accendendole, che sia il presentimento di un cambiamento necessario, che sia la musica o il corpo che cambia, o il corpo tenuto nascosto. L'ho sentita questa pulsione forte per tutta la durata del documentario, la stessa che ci riporta a quello che siamo. La stessa che mi ha collegato al libro finito in questi giorni 'La nostalgia felice' di Amelie Nothomb.
Nel libro la Nothomb ritorna in Giappone dopo 16 anni e qui rivede la donna che le ha fatto da madre i primi anni della sua vita e il suo ragazzo dei vent'anni, ritorna nella terra della sua infanzia dopo un terremoto 'che ne ha cambiato il volto e la memoria'
ritorna per 'chiedere ai luoghi di darle dei segni'.
Ritorna per scoprire come tutto o molto è cambiato:
'Più un dispiacere è banale più è serio. tutti hanno fatto questa crudele esperienza: scoprire che i luoghi sacri della prima infanzia sono stati profanati, che non sono stati giudicati degni di essere preservati e che è una cosa normale tutto qui'

Le cose belle del documentario si legano ad una parola giapponese che nel libro viene definita come la nostalgia felice, natsukashii, l'istante in cui la memoria rievoca un bel ricordo che la riempie di dolcezza.

La città di napoli e quella di tokyo diventano pagine sulle quali appuntare trame di vita, scrive la Nothomb: 'non ho mai capito tokyo. perché è così grande? non afferro la sua forma nè con la mente nè con il corpo. tokyo mi evoca la logorrea di un maniaco: non vedo la struttura del discorso, non riesco a fare luce né su una frase né sulla punteggiatura, posso solo lasciarmi attraversare da qual flusso inesorabile e assurdo. riesco a riconoscere un quartiere così come posso identificare un verbo, ma non so perché si trova lì. avrei voglia di domandare:ma che cosa stai dicendo? ma tokyo non mi consente di dire una parola. allora mi rassegno alla sconfitta'
Che poi in fondo non è proprio una sconfitta, lo sanno i personaggi, lo sanno i registi, lo sappiamo noi e lo sa la scrittrice quando scrive:
'Ognuno di noi invece può contemplare il mare, scalare una montagna e guardarsi intorno, innamorarsi: l'immensità è mille volte più alla nostra portata dell'infinitesimale- è per questo che tendiamo tutti ad aspirare a quello che ci supera, quello che sarebbe bellissimo se non fossimo persone che fanno tanta fatica a non ottenerlo'

E allora più che sconfitta è fatica, a restare fedeli a quell'aspirazione di tanti anni fa, così come a ritrovarsi nelle nuove vite, a tracciare percorsi nuovi che ci soddisfino, attraverso il racconto cinematografico, attraverso la scrittura, in un viaggio al contrario ricomponiamo i pezzi di tanti passaggi di vita, non aspirando di certo a chiarirli, ma a tenerli nonostante tutto.
Ma in questa passeggiata tra la vita di prima e quella di adesso, tra un ricordo e la sua trasformazione, la Nothomb sente gli sguardi intorno, in un parco dove torna a passeggiare dopo la sua lunga assenza dal Giappone, sono quelli delle nonnine, si: 'le nonnine si gustano la mia crisi. Calcolano che alla mia età, ne ho ancora per una trentina d'anni prima di smettere di essere educata. Dopo potrò fregarmene come loro'