martedì 7 maggio 2013

Il 7 maggio di Domitila

“Which one is the main enemy? Is it the military dictatorship? Is it the Bolivian bourgeoisie? Is it Imperialism? No, fellows. I want to tell you that our main enemy is fear. It is inside us"

Domitila Barrios de Chungara è nata il 7 maggio del 1937 a Pulcayo (Bolivia) ed è morta il 13 marzo del 2012 a Cochabamba (Bolivia).

Domitila viveva in un quartiere di minatori, sposò un minatore. Dal 1963 cominciò a prendere parte al comitato delle casalinghe, impegnate per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei minatori. Domitila si salvò da un'irruzione armata dei soldati del governo durante un'assemblea, si stava decidendo se sostenere o meno i guerriglieri di Che Guevara, morirono molti dei suoi compagni e delle sue compagne. Lei fu comunque incarcerata e torturata. Perse così il suo bambino all'ottavo mese di gravidanza. 

Nel 1975 venne invitata alla Tribuna Internazionale della Donna, all'ONU, parlò delle condizioni dei Paesi del Sud del mondo [http://www.onuitalia.it/calendar/women2000m.html]

Nel 1978 insieme ad altre 3 donne, iniziò lo sciopero della fame, tutta la popolazione la seguì e scese nelle piazze contro la dittatura che cadde dopo quasi un mese. 
Domitila fondò la scuola mobile di educazione popolare con la quale andava nei paesini più sperduti della Bolivia a portare l'istruzione.
Quando morì, nel 2012, la Bolivia proclamò 3 giorni di sciopero nazionale per onorare la sua memoria.

Conoscevo la storia di Domitila Barrios de Chungara attivista politica, ma non sapevo fosse nata il 7 maggio come me. Il numero 7, il mese, un pò di anni, di cammini e di storie di differenza.
Lei del 1937 io del 1974. Auguri compagna Domitila, oggi è il tuo 7 maggio.






Una bella testimonianza

Nell'aprile del 1952 iniziò la rivoluzione boliviana, che diede impulso alla riforma agraria, alla nazionalizzazione del settore minerario e al suffragio universale. Sessant´anni dopo, nell’aprile 2012, è morta Domitila Barrios de Chungara e la democrazia boliviana si è listata a lutto. Domitila era una donna coraggiosa, nata alla fine degli anni Trenta a Potosí. Ebbe la possibilità di formarsi come dirigente in quanto moglie di un minatore e, madre di sette figli, fece parte del Comitato delle casalinghe delle miniere. Nel giugno del 1967 sopravvisse al massacro perpetrato dai militari contro i minatori e, dieci anni dopo, insieme ad altre quattro donne, avviò lo sciopero della fame contro la dittatura. Ricevettero dapprima l’appoggio dei sacerdoti, poi degli universitari e, in pochi giorni, furono migliaia gli scioperanti che esigevano libere elezioni, riuscendo a provocare la caduta della dittatura militare, nel 1978. Ebbe così inizio la democrazia boliviana, che quest’anno festeggia tre decadi, la fase più lunga della storia politica del Paese.
Pensando a lei, mi sovviene un aneddoto legato a un evento letterario, un felice incontro avvenuto più o meno vent’anni fa. Ebbi la fortuna di far incontrare due cari amici ed essere testimone di quello che accadde la magica sera in cui entrammo nell’auditorium dell’Università pubblica di Cochabamba. Il pubblico era impaziente poiché si trattava della prima visita di Eduardo Galeano, vi era una voglia enorme di ascoltare la sua voce posatadi registrare i suoi gesti umili e conoscere le sue storie, che raccontano le nostre. Una di queste si trova nella Memoria del fuoco: è il racconto dello sciopero della fame attuato da Domitila con le sue compagne ed è intitolato Cinque donne: «Qual è il nemico principale? La dittatura militare? La borghesia boliviana? L’imperialismo? - dice Domitila - No, compagni. Io desidero dirvi questo: il nostro nemico principale è la paura. Ce l’abbiamo dentro».
Per questo non mi meravigliai quando Eduardo Galeano, che in quei giorni passeggiava per i dintorni di Cochabamba annotando i suoi ricordi in minuscoli bloc notes, mi chiese di Domitila. Dissi a Galeano che Domitila abitava nella provincia di Quillacollo, dove gestiva una scuola di formazione sindacale, e aggiunsi che da quel momento avremmo iniziato a cercarla perché potesse assistere alla sua conferenza all’Università. Alle sei del pomeriggio, quando entrammo nell’auditorium, avvisai Galeano: «Lei è lì, nell’ultima fila, e nasconde la testa ai nostri sguardi, vuoi che la inviti al tavolo?». «No», mi rispose, «questo piacere sarà mio». E mentre in sala regnava un silenzio carico di attesa, Eduardo Galeano prese il microfono, si alzò in piedi e, quasi sussurrando, disse: «Un uccellino mi ha detto che in sala c’è la mia amica Domitila». Lei continuava a cercare di nascondere il volto dietro le teste degli studenti, ma non riuscì a trattenere l’emozione quando Galeano esclamò: «Vieni, ti stiamo aspettando».
Solo allora si alzò in piedi in mezzo agli applausi e si avvicinò al tavolo per sciogliersi in un tenero abbraccio con l’amico uruguayano. Il calore di Eduardo Galeano trasformò quell'occasione in una festa: iniziò a raccontare episodi della sua vita e, di quando in quando, mentre leggeva brani dei suoi libri, rimaneva a guardare Domitila Chungara, sorridendo con lei. Oggi ricordiamo doña Domitila con tristezza: magari qualcuno potesse averle dato tanto affetto e tanto rispetto quanto Eduardo Galeano quella sera a Cochabamba.











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